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giovedì, Novembre 21, 2024

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Rooming-in: cos’è e come nasce

Conoscere il rooming-in

«Dov’è che hai partorito? Come ti sei trovata? E il bambino? Puoi tenerlo in stanza con te o lo portano subito al nido?». Quando la massacrante, quanto meravigliosa esperienza del parto è alle porte, è più che giusto per la futura mamma, cercare di raccogliere quante più informazioni possibili per scegliere la struttura sanitaria più adatta, presso la quale far nascere il proprio figlio o la propria figlia. Tra le variabili che incidono maggiormente durante la fase di scelta della struttura, rientra la possibilità (o meno) di tenere il nascituro in camera con sé durante tutta la degenza, anziché in nursery insieme agli altri bambini. Oggi parliamo di Rooming-in: cos’è e come nasce.

Il termine originario della Gran Bretagna, potrebbe trarre in inganno i nostri lettori facendo credere loro che si tratta di una procedura nativa dei giorni nostri, ma in realtà pur essendo stata “disseppellita” negli ultimi decenni, risale a molti secoli fa.
Di fatto, il rooming-in è stato appoggiato fin dagli anni 90, tramite l’iniziativa “Baby Friendly Hospital’’, promossa dall’UNICEF, con l’obiettivo di assistere in modo super efficiente i nuovi nati e supportare l’allattamento.

In base alle Linee Guida stabilite dall’UNICEF, un bambino sano e nato dopo 40 settimane di gestazione (indipendentemente dalla modalità con cui è venuto alla luce) può stare con la propria madre subito dopo la nascita o comunque sia non appena possibile. Per incentivare tale approccio, OMS e UNICEF, hanno contribuito a far progredire tale pratica definita come

«la possibilità data al bambino e alla neomamma di stare insieme 24/7 duante tutto il periodo trascorso in ospedale, ad eccezione dei momenti riservati alle cure assistenziali».

Questa prassi, è concessa sin dai primi istanti di vita del neonato che resta in sala parto con la mamma.

Rooming-in: da ieri a oggi

Alcune strutture sanitarie, permettono anche ai neopapà di restare in camera 24/7. Sfortunatamente però, la stragrande maggioranza delle strutture, causa Covid-19, non consentono tutto ciò e, come se non bastasse, sono state obbligate a ridurre gli orari di visita. Per le donne, l’impatto emotivo di fronte a tale restrizione è stato scioccante, dal momento che si sono ritrovate ad essere sole e private della possibilità di avere il proprio compagno accanto.
Insomma, trascorrere un periodo di degenza in completa solitudine, senza il proprio partner a fianco, è da considerarsi una vera e propria crudeltà, specie per le donne che hanno subito un parto cesareo.

Poco fa abbiamo detto che il rooming-in è una procedura antica, tant’è che quando una donna partoriva in casa, era solito farla restare insieme al suo bambino. Ad ogni modo, con gli anni sono cambiate anche le abitudini legate al momento del parto, che avviene in ospedale, dove, in seguito ad un controllo medico che accerta lo stato di salute del nascituro, quest’ultimo viene trasferito in nursery e tenuto sotto osservazione per alcune ore. In caso contrario, la mamma potrà vedere il proprio bambino o la propria bambina, durante gli orari di allattamento per circa 3 ore.

Sessant’anni fa, i neonati quando nascevano venivano portati nelle “nursery” (ossia il nido dell’ospedale) e le mamme potevano vederli solamente negli orari prefissati.

Dopo che diverse ricerche avevano dimostrato i numerosi benefici del rooming-in per la mamma e anche per il neonato, negli anni settanta si è deciso di apportare qualche modifica ai reparti di maternità e quindi, rendendo la nursery accessibile con maggiore flessibilità di orario e permettendo di tenere i neonati con sé, nella propria stanza per tutto il tempo desiderato, in un’apposita culla accanto al letto.

Dalla pancia alla culla

Una volta venuto alla luce, il neonato passa da un ambiente caldo, delimitato e silenzioso come l’utero materno, a un luogo freddo, fragoroso e pieno di luce come la sala parto. Trovarsi tra le braccia della mamma, riconoscerne la voce, sentirne il profumo e il battito cardiaco per lui o lei è rasserenante.

É più che naturale, per il piccolo, cercare il calore del corpo materno, tramite il quale si abituerà lentamente e dolcemente alla sua nuova vita extrauterina. Durante tutto l’arco di tempo trascorso lontano dalla mamma, il piccolo inizierà a piangere e nel momento in cui avrà fame, dovrà aspettare gli orari previsti e non potrà essere nutrito quando ne sentirà la necessità.

Pro e contro del Rooming-in

Per la neo-mamma è fondamentale tenere vicino il proprio neonato e come detto, i vantaggi sono tantissimi.

La possibilità di allattare il proprio bimbo o bimba, ogni volta che si desidera senza nessun orario prestabilito è il primo beneficio. In tal modo si favorisce la montata lattea (detta anche “lattogenesi”) facilitando la soluzione di eventuali problemi. Gestire il neonato con l’aiuto del personale sanitario, è ottimo per aumentare la fiducia nelle proprie capacità e si impara a gestire le esigenze quotidiane del bambino (come ad esempio il cambio del pannolino) in modo particolare se è il primo figlio.

Inoltre, il rooming-in favorisce una prima conoscenza e l’instaurarsi di un rapporto profondo tra mamma-figlio, l’umore della donna si stabilizza, il neonato si tranquillizza e riduce il pianto. Inoltre, questa pratica consente di ridurre la depressione-post partum e permette di avere un contatto più stretto anche con il papà.

Il rooming-in apporta numerosi benefici anche per il neonato, infatti per lui è un istinto naturale cercare il calore della mamma. Dopo il parto, passa da un ambiente caldo, silenzioso e delimitato come quello dell’utero materno ad uno totalmente diverso, rumoroso, freddo e luminoso, che è quello della sala parto.

Inoltre, nelle braccia della mamma, per lui, riconoscerne la voce, il suo odore e il battito del suo cuore è rassicurante.

Rooming-in: i dubbi che sorgono

Detto ciò, e dopo aver visto gli innumerevoli benefici che il rooming-in offre, sicuramente vi starete chiedendo “Ma quindi la nursery non serve più?”.
Il nido serve ed esisterà sempre, per i bambini che nascono con problematiche e hanno bisogno di terapie, ma il supporto del nido in ospedale è importante anche per aiutare le mamme che sono impossibilitate a prendersi cura del proprio neonato.

Il rooming-in deve essere visto come un’opportunità che offre la struttura sanitaria senza nessuna regola prestabilita e lasciando alla mamma, la possibilità di scegliere se usufruirne e per quanto tempo.

Oltre ai vantaggi, esistono anche degli svantaggi che bisogna tenere presente. infatti, prendersi cura del proprio bimbo o bimba sin dalle prime ore dopo il parto potrebbe essere pesante, in modo particolare se si è sole, se i ritmi di poppata sono frequenti o se le proprie condizioni psicofisiche non consentono di “soddisfare” le esigenze del nascituro con serenità.

La fase successiva al parto è davvero delicata: il dolore, la spossatezza e le difficoltà motorie, non andrebbero mai sottovalutate ed è importante tenere presente che, prima di tutto, siamo persone e dopo mamme.
Il rooming-in potrebbe essere la soluzione migliore, ma non significa che sia così per tutte le donne. Ad esempio, se il marito non potrà esserci, la neo-mamma non dovrà sentirsi abbandonata e per questo motivo, l’attenzione non deve essere esclusivamente sul neonato.

Inoltre, chi ha appena partorito, deve essere tranquillizzata sul fatto che è consueto provare anche emozioni ambivalenti o negative e non ci si deve sentire in colpa.

Cosa ne pensano le mamme

Un importante studio del 2020, ha svolto delle accurate e sistematiche ricerche per scoprire effettivamente quante neomamme fossero a conoscenza del cosiddetto “rooming -in”, e su quali fossero gli impedimenti a cui hanno dovuto far fronte e quali linee adottare per perfezionare la pratica.

In tutto, sono state “reclutate” 328 mamme e 333 bambini nati a gennaio 2019, in un centro di riferimento terziario (a Milano), specializzato nell’offrire assistenza alle neomamme durante i primi giorni di vita del neonato. Una volta rilasciata la lettera di dimissione ospedaliera (LDO), gli operatori sanitari hanno condotto un’intervista strutturata (o standardizzata), per saperne di più in materia.

I risultati? I dati parlano chiaro: oltre l’85% delle mamme ne era già al corrente. I “pro” menzionati dalle stesse sono stati:

  • il rafforzamento dell’unione madre-bambino,
  • fiducia in sé stesse;
  • sviluppo di alcune skills (tra cui la capacità di riconoscere quando il neonato ha fame).

Mentre per quanto riguarda i “contro“, i più citati sono stati:

  • la stanchezza;
  • i possibili risvolti psicologici, in seguito ad un taglio cesareo;
  • la notte, il momento più difficile della giornata.

Inoltre, le intervisate hanno dichiarato di aver ricevuto assistenza anche per loro stesse (oltre che per i nascituri).

Inifine, le neomamme hanno proposto le proprie idee, al fine di ottimizzare il rooming-in, come migliorare l’assistenza riservata alla “coppia” madre-figlio, attuare dei cambiamenti all’interno dell’organizzazione/struttura sanitaria e ultimo, ma non meno importante, dare la possibilità alle donne sposate, di avere accanto il marito durante la notte.

É una pratica sicura per il bambino?

Il rooming-in dovrebbe essere la soluzione migliore per tutti i neonati sani e in tal modo, le neo-mamme possono allattare il proprio bambino tutte le volte che desidera.

Per raggiungere questo intento l’OMS (ovvero l’organizzazione mondiale della sanità) e l’UNICEF hanno proposto la “Baby-friendly Hospital Initiative”, che ha l’obiettivo di incentivare i reparti di maternità a mettere in pratica i “dieci passi per il successo dell’allattamento al seno”.

Un insieme di norme che dovrebbero attivare le strutture ospedaliere, per promuovere l’allattamento al seno. Ecco quali sono:

  1. Attenersi al “codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno”, pubblicato dall’OMS;
  2. Il personale deve avere le giuste competenze, conoscenze e abilità per sostenere l’allattamento al seno;
  3. Informare le donne sull’importanza dell’allattamento al seno;
  4. Favorire il contatto “pelle a pelle” e aiutare le mamme a cominciare l’allattamento al seno quanto prima;
  5. Incoraggiare le mamme, in caso di difficoltà comuni, durante l’allattamento;
  6. Ai neonati non devono mai essere somministrati alimenti o liquidi differenti dal latte materno;
  7. Praticare il rooming-in;
  8. Aiutare le mamme a riconoscere quando il proprio neonato inizia ad avere fame;
  9. Consigliare quale biberon, tettarelle o ciuccio dare al neonato;
  10. L’ultimo punto, prevede il coordinamento delle dimissioni.

Da tutto ciò si può dedurre che il rooming-in è sicuro per il bambino e la preoccupazione della neo-mamma, è inferiore se resta con lei. Mentre, se viene tenuto nel nido, è più esposto ai batteri patogeni che vengono portati casualmente dal personale ospedaliero.

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